1918 – 2018: dov’è la vittoria?

02 novembre 2018

1918 – 2018: dov’è la vittoria?”: è questo il titolo di copertina del nuovo numero della rivista Left, settimanale edito da Matteo Fago e diretto da Simona Maggiorelli, in tutte le edicole dal 2 all’8 novembre.

Roma, 2 novembre 2018 - Un secolo di storia è il lungo arco temporale che ci divide dalla prima guerra mondiale, la cosiddetta Grande Guerra, così definita dagli storici per l’enorme entità del conflitto e per il numero di morti che ha generato.

Domenica 4 novembre si ricorderà infatti l’anniversario dell’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti del 1918, data convenzionale con la quale si fa terminare la prima guerra mondiale e che viene celebrata in tutta Italia come festa dell’unità nazionale e delle forze armate.

L’impressione che se ne ricava esattamente cento anni dopo, analizzando e studiando i meccanismi sociali contemporanei, è che la guerra non sia mai veramente finita; al contrario, delle ideologie presenti nel primo novecento permangono i virus del nazionalismo e del razzismo, che oggi sembrano coinvolgere non soltanto l’Italia ma quasi tutte le nazioni d’Europa e del mondo, come dimostrato dalle recentissime elezioni in Brasile.

Solamente la fisionomia della guerra in senso tecnico, intesa come conflitto sul campo, è profondamente mutata per via delle armi impiegate e delle modalità di uccisione, sempre più legate agli sviluppi tecnologici e agli avanzamenti scientifici, insomma interconnesse ai cambiamenti del mondo e della società.

Se gli scontri classici miravano ad una conquista territoriale che fosse preliminare all’annessione nazionale, oggi – complice il progressivo e inesorabile indebolimento degli Stati - le violenze messe in atto si adeguano alla realtà di un pianeta realmente globale, connesso e privo di confini netti o precisi.

Per comprendere appieno i cambiamenti che sono in corso e dunque ciò che ci attende si pensi che, dagli anni ’80 ad oggi, le guerre combattute tra Stati nazionali rappresentano solamente il 5%.

Come registrato sulle pagine di Left da Raffaele Crocco, giornalista Rai e ideatore del noto “Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo”, le guerre che affliggono il mondo sono ben trentaquattro - con diciassette situazioni di tensioni critiche che rischiano di trasformarsi in conflitti armati con rapida escalation; ciò significa che circa 3 miliardi e 800 milioni di esseri umani, ancora oggi, si trovano coinvolti in una qualche condizione di conflitto.

Complice la preoccupante flessione delle democrazie occidentali e non, accanto all’orrore delle guerre rischia anche di emerge il problema delle involuzioni degli Stati.

Turchia, Russia e il blocco dei Paesi ex sovietici (oggi parti integranti dell’Unione Europea) sono i casi più emblematici di nazioni che hanno avviato al proprio interno un processo tendenzialmente contrario ai principi democratici ed ai diritti dei cittadini, ma anche nel cuore dell’Europa sono in crescita i casi segnalati: dalla Spagna che ha affrontato la crisi dell’autonomia catalana con strumenti repressivi, alla Germania in cui la nostalgia neonazista sta prendendo piede con rapidità tale da condurre partiti nazionalisti e xenofobi in Parlamento, fino alla Francia dai tratti autoritari di Macron e l’Italia - vittima di un sentimento razzista che sperimentiamo ormai su base quotidiana.

Oggi come cento anni addietro, ci si ispira all’idea di una “nazione da difendere” da stranieri ed invasori creati ad hoc per giustificare le proprie pulsioni violente.

Si guarda anche, con inquietante e ritrovato fanatismo, ai concetti di identità etniche base sul credo religioso e linguistico, e parole come “razza” e “patria” tornano a fare il proprio ingresso nel sentire comune.

La prima guerra mondiale non è mai finita, ha solo indossato una maschera; ma i fantasmi che l’hanno concepita sono ancora qua.

Oggi in edicola.

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