Corona-Signorini: il mercato dei sogni e la carne come moneta

21 dicembre 2025

C’è qualcosa di chirurgico nel modo in cui Fabrizio Corona sceglie i tempi delle sue deflagrazioni. Questa volta non siede su una poltrona televisiva, ospite di quel sistema che ama odiare, ma parla dal suo fortino digitale, il format Falsissimo. Da lì, senza contraddittorio e con la ferocia di chi non ha nulla da perdere, ha lanciato un attacco frontale ad Alfonso Signorini. Nomi, chat presunte, dettagli su provini che diventano alcove.

Come da copione, l’indignazione è scattata puntuale, la curiosità morbosa anche. Lo scandalo ha rischiato, ancora una volta, di divorare il senso profondo delle cose, riducendo tutto a un chiacchiericcio da bar sport o da timeline impazzita.

Eppure, liquidare tutto questo come l’ennesima "sparata" di un personaggio controverso sarebbe un errore di pigrizia intellettuale. Perché se ci fermiamo ad ascoltare davvero, togliendo il rumore di fondo, quello che emerge non è solo il racconto di un singolo, ma la radiografia di una ferita collettiva. Una dinamica antica, sedimentata, che pulsa sotto la pelle lucida dello spettacolo italiano ben prima che i protagonisti di oggi ne calcassero il palcoscenico.

Per anni, il potere ha parlato una lingua esplicita, quasi carnale. Era un sistema in cui l’accesso al "paradiso" catodico passava attraverso relazioni asimmetriche, dove la bellezza femminile era spesso valuta di scambio e il compromesso era talmente ostentato da diventare norma. Oggi, con il passaggio generazionale e l’avvento di una gestione, quella di Pier Silvio Berlusconi, che predilige la sobrietà e il decoro istituzionale, la forma è cambiata. Le luci sono meno abbaglianti, i toni più felpati. Ma sarebbe ingenuo, se non disonesto, credere che la struttura profonda del potere si sia dissolta nel nulla. Il potere non scompare mai: si riorganizza, cambia abito, impara nuove lingue.

È qui, in questa terra di mezzo tra il vecchio e il nuovo, che le parole di Corona assumono un peso diverso. Non perché rivelino verità che non immaginavamo, ma perché scoperchiano un meccanismo che tutti conoscono e nessuno ha il coraggio di guardare in faccia. Un meccanismo che non riguarda l’orientamento sessuale, ma la gestione feroce del desiderio di appartenenza.

Si fa un gran parlare di "mondo gay", di lobby, di fluidità usata come passpartout. Ma ridurre tutto a una questione di orientamento è una scorciatoia comoda per non affrontare il nodo reale. Il punto non è chi va a letto con chi. Il punto è la solitudine immensa di chi, pur di esserci, pur di non sparire nel nulla, accetta di barattare la parte più intima di sé.

Dobbiamo provare a immaginarli, questi ragazzi e queste ragazze. Arrivano spesso dalla provincia, con la valigia piena di sogni e fame di futuro. Sono belli, sì, ma di una bellezza che a Milano, o a Roma, è merce deperibile. Scoprono presto che il talento, se c’è, non basta. Che la fila è lunga. E che c’è una porta laterale, socchiusa, presidiata da chi detiene le chiavi del regno.

Non serve la costrizione fisica, non serve la violenza esplicita. Il potere, quello vero, seduce. Ti fa sentire speciale per un attimo, ti offre una scorciatoia. "Se stai con me, se ti fai vedere con me, le porte si apriranno". E così, il consenso diventa una trattativa silenziosa. Si accetta di modificare la propria natura, di recitare un copione anche sotto le lenzuola, non per desiderio, ma per sopravvivenza sociale. È un adattamento darwiniano in un ecosistema tossico.

Il mondo eterosessuale ha praticato questo sport per secoli, normalizzandolo, rendendolo invisibile, mascherandolo da "favore", da "protezione". Il mondo omosessuale, nello spettacolo, lo ha vissuto spesso in modo più esposto e crudele, perché storicamente più vulnerabile, più ricattabile, costretto al segreto e quindi più facile preda di chi quel segreto poteva gestirlo. Ma la logica è identica: quando il potere è concentrato in poche mani, il corpo dell’altro diventa territorio di conquista.

La vera domanda che dovremmo porci, mentre leggiamo l'ennesimo titolo scandalistico, non è "chi è il colpevole?". I colpevoli, in un sistema del genere, sono ovunque e da nessuna parte. Il vero scandalo non è la caduta morale di un singolo, ma l'esistenza di un sistema che rende il compromesso una moneta di scambio legittima. Un sistema che si indigna a posteriori, con il dito puntato, ma che prospera sul silenzio preventivo. Che finge sorpresa quando una storia esplode, ma che vive, respira e fattura grazie a quelle stesse dinamiche ogni santo giorno.

C'è una vena di tristezza infinita in tutto questo. La tristezza di chi crede di comprare la libertà e invece sta solo affittando una gabbia dorata.

Forse il contributo più onesto che possiamo dare, come osservatori, non è giudicare le lenzuola altrui, ma riconoscere la fragilità umana che si nasconde dietro la maschera del VIP. E poi, guardare dentro noi stessi e porci una domanda scomoda, che vale ben oltre il gossip e la televisione: quanto siamo disposti a sacrificare di noi stessi pur di non sentirci esclusi? Quanto del nostro io autentico abbiamo già svenduto per un briciolo di approvazione, per un posto di lavoro, per non essere soli?

Perché alla fine, il metodo Corona ci spaventa e ci affascina per un motivo molto semplice: ci ricorda che tutti, in un modo o nell'altro, abbiamo un prezzo. E che il mercato dei sogni è il più spietato di tutti.

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